Vi ricordate di Avastin e Lucentis?

In Italia non se n’è più parlato. Se n’è parlato invece negli USA, ma per motivi diversi. Ne scrive un giornalista di Healthdesk, Antonino Michienzi, il 11 Dicembre 2014 (http://www.healthdesk.it/cronache/quei_medici_pagati_per_parlar_bene_di_un_farmaco_e_che_poi_lo_prescrivono_ai_propri). Eccovi ciò che scrive.   Quei medici pagati per parlar bene di un farmaco (e che poi lo prescrivono ai propri pazienti) La denuncia del […]

In Italia non se n’è più parlato. Se n’è parlato invece negli USA, ma per motivi diversi. Ne scrive un giornalista di Healthdesk, Antonino Michienzi, il 11 Dicembre 2014 (http://www.healthdesk.it/cronache/quei_medici_pagati_per_parlar_bene_di_un_farmaco_e_che_poi_lo_prescrivono_ai_propri). Eccovi ciò che scrive.

 

Quei medici pagati per parlar bene di un farmaco (e che poi lo prescrivono ai propri pazienti)

La denuncia del New York Times: migliaia di dottori americani ricevono soldi dalle aziende del farmaco. Per fare da relatori a convegni o partecipare a congressi, convincere i propri colleghi della bontà del medicinale. Tutto legale. Ma è etico?

 

Diciamolo subito: con la vicenda italiana quella a stelle e strisce svelata dal New York Times lo scorso 8 dicembre non ha alcun elemento in comune, se non i protagonisti. I due farmaci Avastin e Lucentis, entrambi efficaci contro la degenerazione maculare, molto simili tra loro, prodotti da due aziende concorrenti ma imparentate, e, soprattutto, studiato e approvato per curare questa patologia il secondo, mai approvato a questo scopo il primo.

Cosa sia avvenuto in Italia è ormai noto: le due aziende produttrici (Roche e Novartis) sono state multate quasi un anno fa dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato con l’accusa di avere messo in piedi una strategia finalizzata a “pompare” il farmaco più costoso (Lucentis) a discapito di quello più economico (Avastin) Nei giorni scorsi il Tar del Lazio ha respinto il ricorso delle aziende che comunque continuano a ribadire la correttezza del proprio operato e si dicono pronte a ricorrere al Consiglio di Stato. Questo in Italia.

Negli Usa, invece, due giornaliste del New York Times (Katie Thomas e Rachel Abramsdec) si sono prese la briga di spulciare i dati di un database governativo contenente i pagamenti effettuati dalle aziende del farmaco americane ai medici. Pagamenti di tutti i tipi: rimborsi per partecipazione a congressi (dalle spese di viaggio a quelli per vitto e alloggio), parcelle per relazioni, consulenze di vario tipo. Hanno selezionato quelle in qualche modo riconducibili a Lucentis e a qual punto hanno verificato l’attività di questi medici per capire se c’era qualche relazione tra i pagamenti ricevuti e il loro comportamento prescrittivo. In poche parole: i medici che avevano ricevuto soldi dall’azienda tendevano a usare più frequentemente Lucentis rispetto ai propri colleghi?

“La gran parte dei dottori che fanno il maggior numero di prescrizioni di Lucentis, sono anche tra i più pagati consulenti di Genentech [l’azienda che negli Usa produce e distribuisce il medicinale, n.d.r.] e guadagnano migliaia di dollari per aiutare a promuovere il farmaco”, scrivono le giornaliste americane. In particolare, “la metà dei 20 dottori che aveva ricevuto la maggior quantità di denaro da Genentech per promuovere Lucentis nel 2013 erano tra i maggiori utilizzatori del farmaco nel 2012, e prescrivevano il 75% in più rispetto ai colleghi. […] I 20 medici avevano guadagnato dagli 8.500$ ai 37.000$ nei primi 5 mesi del 2013”.

La pratica non ha nulla di illegale. Tutt’altro. Dal 2010, con l’approvazione del Physician Payment Sunshine Act contenuto nella riforma sanitaria del presidente Obama, le aziende sono obbligate a comunicare tutti i pagamenti verso i medici o gli ospedali universitari. Lo scorso settembre, la prima raccolta di dati, relativi agli ultimi mesi del 2013, ha preso vita in un database pubblico (https://openpaymentsdata.cms.gov) dove ogni cittadino può sapere se il proprio medico ha ricevuto incentivi economici (e di che entità e a quali fini) dalle aziende farmaceutiche che, nel complesso, negli ultimi mesi dello scorso anno hanno versato a medici e ospedali 3,5 miliardi di dollari.

Le aziende, dunque, possono pagare i medici purché non lo facciano sottobanco. Tuttavia, come rilevano le due giornaliste, il caso (ma quello dei due farmaci è soltanto uno dei mille esempi che si potrebbero fare) “solleva il problema se le relazioni finanziare tra medici e produttori di farmaci influenzino le loro scelte terapeutiche”.